Laboratorio di ricerca sulla terapia genica e farmacogenomica della Talassemia

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Terapia genica

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Gli studi di terapia genica della beta-talassemia si pongono come obiettivo primario quello di sviluppare sistemi sperimentali in grado di sostituire le funzioni del gene "malato" della beta-globina con quelle di un gene sano opportunamente inserito nelle cellule eritroidi del paziente talassemico.

La Fig.1 delinea le fasi che potrebbero portare alla sostituzione funzionale di un gene nel genoma di cellule isolate da un paziente. In questo caso il gene di interesse viene inserito nel genoma di un retrovirus opportunamente modificato allo scopo di rendere le particelle virali prodotte in grado di infettare le cellule bersaglio, inserire il materiale genico nel genoma, ma non propagarsi ad altre cellule.

Il punto forse più delicato è lo sviluppo di un opportuno vettore che possa penetrare nelle cellule trasportando il gene con la finalità di introdurlo nel genoma ospite. Il secondo problema è che il gene terapeutico va inserito all'interno del genoma e pertanto il vettore deve contenere in sé la capacità di fondersi con il genoma ospite. Tutte queste caratteristiche sono possedute dal DNA di alcuni virus, i retrovirus (Fig.2), che possono penetrare nelle cellule ospiti, inserire il DNA all'interno del DNA umano e quindi usarlo per riprodursi. Il problema dell'uso di questi vettori è che potenzialmente ogni virus è dannoso per la salute umana e pertanto bisogna rendere il vettore innocuo. La Fig.3 mostra il genoma di un retrovirus; dei geni indicati, il gene gag, pol e env possono essere eliminati allo scopo di produrre un vettore che mantenga la capacità di integrarsi nelle cellule bersaglio senza dar luogo in seguito a particelle infettive. Perciò queste sequenze ritenute pericolose vengono tagliate ed eliminate e si usa il resto del DNA nel quale viene inserito il gene da sostituire. Purtroppo talvolta capita che il virus non venga completamente inattivato oppure che il "taglio" delle sequenze pericolose sia stato troppo radicale impedendo al vettore di entrare efficacemente nelle cellule.

In un recente lavoro (May C, Rivella S, Callegari J, Heller G, Gaensler KM, Luzzatto L, Sadelain M:Therapeutic haemoglobin synthesis in beta-thalassaemic mice expressing lentivirus-encoded human beta-globin. Nature. 2000, 406(6791):82-6) il gruppo del Prof. Sadelain (Department of Human Genetics, Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, New York, USA) ha aggirato alcuni di questi ostacoli in maniera efficace. Nei loro esperimenti su topi talassemici questi ricercatori hanno utilizzato come vettore un lentivirus della stessa famiglia del virus dell'HIV, molto efficace nel penetrare nelle cellule bersaglio. Questi virus sono stati inattivati, privati cioè dei geni dannosi e al loro interno è stato inserito il gene codificante la beta-globina umana (Fig.4). Il tutto è stato poi trasferito nelle cellule eritroidi isolate dai topi talassemici. Tali cellule sono state successivamente reinserite nei topi, osservando un significativo aumento della produzione di emoglobina contenente la beta-globina umana. Benché tale emoglobina "sana" fosse solo una parte dell'emoglobina totale, questo risultato si è già dimostrato positivo consentendo un sensibile miglioramento della morfologia e funzionalità dei globuli rossi dei topi talassemici. Se tale fenomeno fosse confermato utilizzando pazienti, è prevedibile la possibilità di ottenere chiari miglioramenti clinici compatibili con migliori condizioni di vita dei pazienti stessi.

Il risultato del gruppo di Sadelain è anche notevole perché per la prima volta non è stato introdotto il solo gene che produce la proteina ma anche tutto quel corredo di sequenze genomiche che regolano la produzione di beta-globina da parte dei geni stessi. Solitamente tali sequenze, che nel raggruppamento dei geni per le globine di tipo beta fanno parte dell'LCR (Locus Control Region), non si trovano direttamente legati ai geni globinici. L'importanza di questo risultato risiede nel fatto che il vettore utilizzato in questo caso conteneva solo una minima parte della regione LCR, sufficiente però a consentire che la beta-globina venisse espressa in modo permanente nelle cellule nei tessuti appropriati.

Seppure i risultati siano soddisfacenti e facciano ben sperare per il futuro, il cammino verso una terapia nell'uomo è ancora lungo: i risultati ottenuti nei topi non garantiscono infatti che gli stessi effetti siano riproducibili anche nell'uomo.

 

 

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